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di Ulysse
Prendendo spunto dalla nostra ultima due giorni, caratterizzata da pioggia, freddo e neve, sto riflettendo proprio sull’utilizzo della moto in inverno. In verità sono vecchi pensieri che ogni tanto tornano a galla ed allora provo a metterli in ordine.
Per i più andare in moto è un piacere che si coniuga con le cosiddette belle stagioni, primavera ed estate; magari altri possono prolungare l’attività fino ai giorni ancora tiepidi dell’autunno, ma non oltre. Pochi, invece, fanno parte della mia categoria, che usa la moto durante l’intero anno.
Prima di proseguire è bene focalizzare cosa si intende per “andare in moto”. Personalmente escludo gli spostamenti di necessità, quali recarsi al lavoro, fare commissioni, andarci al mare, fare una passeggiata la domenica mattina e cose così; per questo non bisogna per forza essere motociclisti, non si va in moto, si è semplici utenti di un mezzo a due ruote. Spesso per convenienza più che per passione.
Ovviamente sto esprimendo il mio punto di vista, che sicuramente sarà dissimile da molti altri perchè ognuno vede ed è libero di vedere la cosa a proprio modo.
Io per uscita in moto intendo qualcosa che possa avvicinarsi quanto più possibile ad un viaggio, anche fosse di un solo giorno; salire in sella mi deve dare la sensazione che sto partendo, non che sto andando a fare una passeggiata. I ritmi sono diversi, le percorrenze anche, la destinazione deve avere un perchè e la strada per arrivarci deve essere protagonista quanto e più della stessa meta. E le stagioni, il meteo, non esistono! La moto è totale nella più ampia accezione del temine: è totale perchè sicuramente deve saper affrontare qualunque stagione e (quasi) qualunque tipo di terreno ; dico quasi per l’ovvio motivo che con una moto “comune” non puoi dedicarti ad attività estreme come ad esempio il cross o l’enduro quello vero, dove è richiesto un mezzo specialistico. E’ totale perchè il suo impiego è dal primo gennaio al trentuno dicembre, senza interruzioni. In questo scenario l’utente del mezzo a due ruote si chiama appassionato, perchè è solo la passione che ti spinge ad andare oltre, a non volerti separare dalla tua moto neanche per una sola settimana all’anno.
Il freddo e la pioggia sono abituali compagni di viaggio delle escursioni invernali, ma al giorno d’oggi abbiamo protezioni ed abbigliamento che quarant’anni fa nemmeno eravamo in grado di sognare… allora sì che dovevi avere una passione smisurata per poter sopportare il freddo e l’acqua che ti entravano nelle ossa. Oggi è più facile, almeno per me che avendo sessanta anni ho vissuto le dure stagioni dei giacconi in pelle, spesso quei giacconi da tranviere che si rimediavano da zii o amici di tuo padre, che ti proteggevano dalle pietre ma non dagli agenti atmosferici… La cosa difficile è, invece, avere a disposizione persone animate dalla tua stessa passione, ma in questo sono abbastanza fortunato: nel nostro piccolo gruppo ci sono alcuni compagni che, seppur giovani, hanno saputo cogliere e coltivare l’essenza dell’essere motociclista: pensare ed agire da motociclista, non da persona che usa una moto.
Da un punto di vista tecnico non c’è molto da dire e non sono qui per dare lezioni di guida; l’esperienza deve essere tale da farti valutare ciò che è fattibile e ciò che invece è da evitare; andare in moto in inverno non deve significare andare in cerca di guai, ma cercare evitarli! La pioggia si gestisce, adeguando guida e velocità, pieghe e frenate; la centralina del nostro cervello deve entrare in azione prima di quella della moto, prima dell’abs; questi dispositivi intervengono quando si è già in una situazione critica, il nostro cervello invece deve attivarsi molto prima, proprio per evitare di trovarsi in questi frangenti. La neve non la si va a cercare; se capita, una spruzzata la si sopporta sia fisicamente che tecnicamente, ricordando quanto sopra; se la strada è già innevata ed inevitabilmente in qualche parte anche ghiacciata, entro i limiti del possibile è ancora possibile guidare.
I limiti del possibile, è proprio qui la chiave del successo: si deve essere consapevoli delle proprie capacità quanto dei vincoli imposti dall’ambiente, senza lasciarsi condizionare da euforia e ottimismo preconfezionato.
Tanto per fare un esempio: proprio in questa due giorni era nostra intenzione salire al Passo del Vestito, sulle Apuane. Durante l’avvicinamento la strada era già abbondantemente spruzzata di neve e nelle parti in ombra, ai limiti della carreggiata, c’era anche ghiaccio.
Camminando al centro ed evitando manovre brusche potevamo avanzare, piano ma in tutta sicurezza; arriviamo al bivio: la strada che saliva al valico era completamente bianca, immacolata, neve traslucida e ghiaccio. Qui abbiamo preso l’ovvia decisione: non saliremo al passo, l’obiettivo è fare un giro piacevole ed appagante, non battere qualche record o rischiare di rompersi l’osso del collo per tentare una impresa impossibile. Ed abbiamo vinto, ancora una volta… la strada alternativa saliva comunque ad una forcella, era sempre innevata ma non proibitiva; ci siamo divertiti, abbiamo tuttavia compiuto una performance non usuale e non facile, grazie all’esperienza che ci ha consentito di affrontare ciò che era fattibile e rinunciare a ciò che invece era pericoloso.
Ovvio che fattibile e pericoloso non sono valori assoluti, ma in stretta relazione alle proprie possibilità; per molti fare la nostra strada sarebbe stato proibitivo, per altri – pochi 🙂 – ciò che noi abbiamo ritenuto impossibile sarebbe stato fattibile. Per me, se avessi avuto una moto da cross o una enduro/cross targata non ci sarebbero stati dubbi, ma avevo sotto le chiappe una GS, che può fare molto ma non tutto.
Sul piano emotivo, invece, c’è molto da dire.
La moto d’inverno è come il mare d’inverno: ritenuto incompatibile con la stagione, ma è semplicemente non adatto ai più. I motociclisti veri non sono fra la moltitudine, fanno parte di una casta ristretta di motociclisti alfa, dove è difficile trovare gli intutati da piega domenicale fuori luogo.
Un’uscita invernale, fatta con i compagni giusti, ha tutto un altro sapore che farla da soli; la condivisione in questi casi diventa complicità e la complicità è il miglior cemento per le amicizie, è il miglior condimento con il quale insaporire un evento, fin da quando si faceva sega a squola … si vede che non l’ho frequentata molto? 🙂
Sapendo che l’uscita sarà straordinaria, che sicuramente prenderemo acqua (la neve non era preventivata), che i chilometri saranno non pochi per questa stagione (novecentodieci in due giorni), l’ansia ha cominciato a farsi sentire da diversi giorni prima dell’uscita. Ansia positiva, ansia da partenza, quella che ti agita perchè non vedi l’ora di andare, nonostante i tanti anni e i tanti chilometri sulle spalle, perchè sai che hai un appuntamento con una piccola avventura, che stai andando a scrivere una pagina importante della tua storia personale, che è poi la storia del tuo piccolo gruppo. Soprattutto sai che in tutto questo avrai uno o più complici, che non devi convincere, semplicemente perchè sono come te, ragionano come te ed hanno la moto e l’amicizia nel sangue, mischiati con i globuli rossi – o giallorossi -.
MrSergio, Freeblue, Jean quando si ricorda di essere Jean, la straordinaria Daniela, il lontano Jack… basta dirgli “andiamo” e sono pronti, salvo impegni improcrastinabili (come l’ho detto bene!). E la sera a cena l’atmosfera è diversa dal solito; ogni volta ci ritroviamo come in una tana nuova ma subito calda ed accogliente; è il nostro rifugio dopo la fatica e senti che questi amici sono animali della tua stessa specie, fratelli.
Tutto questo grazie ad un pò di pioggia, freddo ed una stagione che, dicono, non sia adatta alle moto.
Quella di quest’anno è stata la seconda edizione del Porcoddue.
Nome bizzarro per intitolare una uscita in moto, ma tutto ha un suo perchè.
E’ facile intuire che a novembre, essendo lontani sia dalle ultime vacanze che dalle prossime, il desiderio di fare qualcosa di importante in moto si unisca al desiderio di sfuggire alla routine quotidiana, che in questo periodo dell’anno ci ha oramai completamente fagocitati.
Superata la soglia di sopportazione, il desiderio diventa necessità e sgorga spontanea l’esclamazione “e porcoddue, mo basta!” . Un grido di angoscia e ribellione allo stesso tempo, che si concretizza in una uscita di due giorni senza stare a guardare il meteo, le convenienze, le convenzioni; l’unico motivo che ci spinge è il desiderio di andare, di passare del tempo insieme, noi e le moto.
Dopo aver aggiustato il tiro sulle date, e lo slittamento di un solo giorno non ha fatto altro che produrre ulteriore, positiva ansia da partenza, finalmente si va. MrSergio e Ulysse, avendo Freeblue rinunciato all’ultimo per comprensibili problematiche.
La volta precedente furono presenti MrSergio, Ulysse e Murdok; mmmmh, c’è del metodo in questa follia! Anzi, più che metodo come diceva il buon William, c’è una costante 🙂
L’appuntamento è dunque sabato mattina alle otto direttamente dopo Civitavecchia, laddove l’autostrada confluisce con l’Aurelia, al solito chiosco dei formaggi.
Io, che provengo dall’Aurelia, non riesco a raggiungere il sito, impedito da un dedalo di strade chiuse, nuove rotatorie, deviazioni e tratti incanalati. Stanno prolungando la strada veloce, si dice, fino a Grosseto e sono costretto a tirare dritto fino a Montalto; quattrocento metri prima del bivio c’è una area di servizio e mi fermo. Invio whatsup al mister, dopo aver provato invano a chiamare, ed aspetto, approfittando del bar per immettere ed espellere liquidi caldi.
MrSergio chiama, anche lui non riesce a fermarsi al punto prestabilito e così, ricevuta conferma sulla mia posizione, dopo non molto arriva.
Essendo entrambi in anticipo di circa mezz’ora sull’orario prestabilito, ci troviamo in perfetto orario nel ritardo causato dalla triste viabilità, e circa trenta chilometri più avanti… Cose da Babbaluci!
Si parte, proprio a Montalto di Castro avremmo, ed in effetti abbiamo, la deviazione del nostro itinerario dall’Aurelia alla Castrense. Qualche chilometro prima di Canino ci addentriamo nella Maremma Laziale: Manciano, Scansano e su, fino a Roselle; da qui, con un tratto di nove chilometri di superstrada, siamo a Montorsaio. Una sessantina di chilometri di curve si snodano fra campagna e sottobosco; il tracciato, veramente divertente anche se scivoloso, ci porta a Montieri. Durante questo tratto abbiamo indossato gli antipioggia; eravamo partiti asciutti ma il meteo ed il cielo concordavano: pioggia doveva essere e pioggia è! Il fatto non ci disturba, l’acqua di cielo è preventivata e caratterizza la porcoddue…
A Montieri ci fermiamo, un bar di paese molto accogliente e barista all’altezza della situazione ci accolgono! 🙂 Qualcosa di caldo; non sostiamo a lungo, presto si riparte e siamo di nuovo alle prese con curve e saliscendi su strada molto viscida. Il ritmo, pur con tutte le cautele del caso, è ottimo, e così ci beviamo, sempre sotto la pioggia, circa centottanta chilometri senza sosta alcuna.
Gli ultimi cinquanta chilometri sono stati sotto un diluvio universale, visibilità ridotta al minimo e per avere cognizione della strada, curve ed incroci, bisognava guardare il navigatore!
In queste condizioni è meglio non fermarsi, prima si arriva e meglio è, e così giungiamo a destinazione, Castelnuovo di Garfagnana, alle diciassette e trenta.
Parcheggiamo le moto davanti alla locanda e smontiamo di sella… sembriamo due lontre!
Prendiamo possesso della camera ma per non allagarla ci spogliamo nel corridoio, appendendo gli antipioggia ai termosifoni siti nello stesso corridoio e lasciamo qui anche gli stivali.
Lo strato sottostante è fortunatamente asciutto e possiamo continuare a spogliarci all’interno della camera. Trasferiamo poi, appendendole in bagno, le cose inzuppate ma in parte sgocciolate in corridoio; gli stivali trovano alloggio in un sembrafattapposta dietro la porta della camera. Bene, è l’agognato momento della doccia bollente!
In breve tempo siamo in condizioni di poter uscire, alla ricerca di un bar dove poter vedere la partita della Roma, che si rivelerà tutt’altro che entusiasmante. Consumiamo una quantità industriale di birre e stuzzichini vari durante i novanta minuti della partita e ci ritroviamo, alla fine, a pagare un conto irrisorio: otto euro a testa!
Torniamo alla locanda, sono le venti e trenta ed è il momento della cena… fame ne abbiamo poca, visto quello che abbiamo ingurgitato al bar, ma una cenetta ci sta tutta, se non altro per rinfrancare lo spirito in allegra compagnia. Il locale è grande, triste e vetusto; malgrado ciò ci troviamo in un ambiente familiare, gradevole e nonostante le cameriere siano ancora più tristi del locale… dopo cena andiamo in camera, la sgroppata in moto si fa sentire tutta: quattrocentoventi chilometri in condizioni non ideali, non facili; quasi tutto l’itinerario sotto l’acqua con l’aggravante finale del diluvio universale.
Infilati sotto le calde e confortevoli coperte, ambiente anche lui bello caldo grazie ai termosifoni accesi, guardiamo un pò di televisione scambiando due chiacchiere. Personalmente il sonno mi assale senza preavviso, anche al mister credo, perchè al mattino non ci ricordiamo neanche quali sono state le nostre ultime parole.
Domenica mattina, la notte è stata tranquilla, beata, un bel sonno ristoratore.
Alle sette e trenta cominciamo a ricomporre il misero bagaglio, ci vestiamo da motociclisti e scendendo per la colazione approfittiamo per portare le cose che vanno riposte nelle valigie.
Bella giornata, molto sole, ma un freddo boia!
La colazione non è pantagruelica, il giusto per poter affrontare la giornata.
Saliamo di nuovo in camera, prendiamo il resto delle cose, giacche e caschi, e scendiamo.
Paghiamo il conto della locanda, quota standard Babbaluca, e ci avviciniamo alle moto.
La sera precedente ci avevano detto che durante la notte avrebbe nevicato, in montagna, ed infatti un’auto parcheggiata davanti alle moto è carica di neve!
Partiamo, dopo aver fatto scaldare un pò i motori; facciamo la strada per salire al Passo del Vestito, umida, viscida, nei tratti in ombra anche ghiacciata. Isola Santa, foto di rito, si prosegue.
Arriviamo al bivio di Arni che già abbiamo percorso un bel tratto di strada innevata e qui dobbiamo prendere la saggia decisione: non saliremo al passo, condizioni proibitive!
La strada, da quella parte, sale repentinamente e ciò che si vede è incompatibile con queste moto e queste gomme, pur se guidate da gente temeraria ma non incosciente!
Continuiamo sulla provinciale, che comunque è una strada montana di tutto rispetto, anch’essa carica di neve e ghiaccio ma giudichiamo fattibile l’impresa dato che non si inerpica in modo così imperioso. Le modo scodinzolano allegre, la velocità è tale da poter avanzare in salita agevolmente e senza strappi ma non eccessiva da poter diventare non gestibile.
Progressione costante ed armonica, si impostano le curve “di culo”, spingendo sulla sella ed una leggerissima, dolce intraversata consente di immettersi nella giusta traiettoria.
Impieghiamo poco più di un’ora per completare i trenta e passa chilometri che ci portano a svalicare; la galleria del Cipollaio è ostruita per metà da un albero caduto presumibilmente durante la notte.
Passiamo utilizzando la carreggiata opposta, con la dovuta prudenza; siamo fuori, si inizia a scendere, neve e ghiaccio ancora presenti ma si diradano man mano che la quota diminuisce.
Arriviamo in paese, dopo un bel tratto di strada sinuoso e caratterizzato da un panorama bucolico.
Un bar pasticceria, bella sosta con cappuccino e qualcosa di solido; al calduccio decidiamo quale percorso intraprendere per ritornare a casa.
Seguendo strade interne arriviamo a Lucca e da qui proseguiamo per Fucecchio e Siena. Arriviamo ad Arbia dopo centottantuno chilometri e tre ore e trenta no stop!
Altro bar, panino e via. Strada a dir poco spettacolare: Asciano ed oltre fino ad arrivare ad incrociare la Cassia, asfalto pulito ed asciutto, curve da GP, ottimo grip; il ritmo è ora baldanzoso, più che Garibaldino! La Cassia, proseguiamo ma ben presto ci troviamo alle prese con l’interruzione che ci fa deviare per Radicofani, dopo aver cercato invano strade alternative.
Giunti al bivio di Radicofani decidiamo di separarci: al Mister viene più comodo e veloce andare a prendere l’autostrada a Chiusi, io preferisco proseguire sulla Cassia, per Acquapendente e poi la deviazione che mi porterà di nuovo a Montalto di Castro. Qui il delirio di corsie alternate mi conduce sull’autostrada di Civitavecchia ed in breve sono a casa. Ma gli ultimi sessanta chilometri me li sono fatti di nuovo sotto l’acqua! Non mi sono neanche fermato ad indossare l’antipioggia per arrivare prima possibile. Io ed il Mister arriviamo alle rispettive magioni più o meno allo stesso orario, mossa vincente. Altri duecento trenta chilometri senza alcuna sosta, ed oggi sono stati quattrocentottanta.
Mi cambio nel box, sistemo la moto e rientro a casa, stanco, infreddolito ma decisamente felice.
Relegare il racconto della porcoddue ad un mero resoconto di itinerari ed orari è riduttivo.
Le difficoltà, la pioggia, il freddo, la neve, l’impresa non usuale di andare in moto in questi giorni e su questi percorsi richiedono degli ingredienti base: passione e complicità, cose che si possono condividere solo con gli amici più intimi, sinceri.
Allora la fredda cronistoria diventa un qualcosa di profondo, l’uscita in moto diventa occasione per fare introspezione. La pioggia fuori del casco aggiunge uno strato in più alla coltre che solitamente ed idealmente ci separa dal resto del mondo, che osserviamo non visti, ed in questi frangenti mi capita di dare risposte a domande che mi si ripropongono da tempo, in questo buio fitto riesco a fare luce.
Inoltre, la complicità rende speciali le amicizie; ricordo con tenerezza e gioia imprese in tenerà età e gli amici di quel tempo, perchè la complicità in quelle scorribande e malefatte da ragazzi è stato un marchio che ci ha contraddistinto ed unito. Oggi è ancora così, avere un amico complice per fare qualcosa fuori dagli schemi rende speciali la stessa amicizia e la situazione condivisa.
Da un punto di vista motociclistico, invece, posso dire che oggi come oggi cercare l’avventura come trenta o quaranta anni fa, per me, è improponibile, perchè di avventuroso, sconosciuto e misterioso è rimasto ben poco. I grandi viaggi in moto non si possono fare tutti i giorni e neanche una volta l’anno, forse una volta o due nella vita ed anche qui, fra organizzazioni, assistenze al seguito, trasferimenti in aereo ed alberghi, di avventuroso non c’è nulla.
Così la vera avventura è portare a compimento una impresa anche piccola, ma rispettando orari e percorsi programmati nonostante il meteo avverso, le strade interrotte e le difficoltà varie.
E senza dover discutere, andare in contrasto con l’amico o gli amici, ma ritrovarsi la sera a cena soddisfatti e sereni perchè insieme, con complicità, abbiamo alzato ancora una volta il livello tecnico, abbiamo accumulato altra esperienza ed abbiamo vissuto momenti speciali insieme.
Questa è la porcoddue!
Sabato 21 e Domenica 22 Novembre.
Destinazione: Isola Santa – Alpi Apuane
Sistemazione: Borgo Isola Santa
1 appartamento 45mq – 1 letto matrimoniale + 1 divano letto.
Camino, bagno privato. Costo € 30,00 a persona.
La locanda è provvista di ristorante: Il ristorante Casa del Pescatore è specializzato in piatti di carne e pasta fatta in casa, accompagnati da funghi porcini dei boschi circostanti.
Opzione appartamento fino al 18 novembre.
Incontro Area servizio Selva Candida Interna – GRA 07:30
Partenza ore 08:00
Isola Santa e Locanda
Abbiamo seguito gli sbalzi di umore del meteo tutta la settimana.
Abbiamo cambiato destinazione, dall’Umbria al Molise, proprio per assecondare i capricci del tempo atmosferico.
Ma non è servito a nulla… quando la sfiga è determinata a colpirti, gli sforzi nell’organizzare un evento in modo che tutto fili liscio risultano perfettamente inutili.
Prima di mettermi a redigere questo report ero molto combattuto, assalito da forti dubbi: pubblicare il resoconto di una uscita che ha vissuto momenti drammatici oppure no?
Ho deciso per il si, dandomi queste motivazioni:
– stiamo scrivendo la storia del nostro gruppo e questa è stata una pagina importante.
– le disavventure fanno comunque parte della storia, dei ricordi, è giusto che un domani possiamo rileggere anche queste pagine; è vita vissuta in prima persona, sono spunti di riflessione ed introspezione che con una chiave di lettura postuma possono farci comprendere il nostro comportamento in un determinato scenario, farci rilevare eventuali errori che possiamo aver commesso ed anche quanto di positivo possiamo aver fatto nella situazione contingente.
– poter scrivere che nella sfiga siamo stati comunque in grado di rientrare con i nostri mezzi, con le nostre forze, senza dover lasciare moto o persone ricoverate le une in un garage e le altre in un ospedale è comunque un lieto fine, evidenzia l’esperienza e la saggezza dei Babbaluci e soprattutto la coesione di questo gruppo.
Mettiamo dunque fine alla suspense e raccontiamo i fatti concreti in ordine cronologico…
Ci si vede il sabato mattina a Trastevere, ore otto al bar-pasticceria da Checco er Carettiere.
Io e Lucilla arriviamo un pò prima, nel mentre MrSergio ci avvisa che la sua moto ha la batteria morta e che è fermo non molto distante. Riesce a ripartire avviando la moto con l’ausilio dei cavi e della moto di Daniela.
Arrivano tutti, ovvero la coppia Freeblue-Annina e i due sopracitati, sontuosa colazione.
Il rione a quest’ora del mattino è semi deserto, per un verso affascinante, rivelando i suoi angoli e vicoli tipici in genere nascosti dalla massa di pecoroni che frequentano questi luoghi. Per un altro verso è deprimente: proprio i suddetti pecoroni la notte precedente hanno lasciato sui sacri sampietrini ogni genere di schifezze…
Dopo la colazione si parte, rapida traversata di Roma, Via dei Cerchi, Porta San Sebastiano ed infine l’Appia, strada maestra di Roma Antica. Percorrere questo tratto è un tuffo nella storia!
In breve siamo sull’Appia moderna, nulla a che vedere ma i resti di antichi acquedotti ne rivelano comunque il glorioso passato.
Saliamo a Velletri costeggiando il lago di Albano, chioschi di porchetta già attivi nei punti panoramici! Dopo Velletri, trotterellando, passiamo Lariano ed Artena e, giunti infine a Colleferro, imbocchiamo decisi la Carpinetana. Fondo stradale buono, temperatura non troppo rigida, percorrenza piacevole sulle numerose curve, bello guidare fra rocce che incombono sull’asfalto alternate ad aperture panoramiche con prati e boschi al limitare dell’asfalto.
Priverno e Prossedi sono la logica conseguenza della Carpinetana; ci fermiamo ad un bar e… sorpresa! Incontriamo un folto gruppo di motociclisti fra i quali notiamo vecchie conoscenze.
Chiacchiere, caffè e si riparte.
La nostra prima destinazione è il porto di Formia, dove incontreremo Pino-Giuseppe.
Ma ecco che a meno di tre chilometri al punto X succede il fattaccio, il primo della giornata: senza dilungarmi in inutili dettagli riporto che MrSergio nulla può contro una automobile che, improvvisamente e nonostante la striscia continua che lo vieterebbe, effettua una svolta a sinistra trascinandoselo dietro. Moto a terra! Io che lo seguivo metto subito di traverso la mia moto nella carreggiata opposta, bloccando il flusso delle auto. Gli altri fermano il traffico sulla corsia di marcia. Momenti di angoscia quelli in cui il Mister è a terra, sotto la moto!
Ma poi fortunatamente si riprende dallo shock, non del tutto; dopo esserci assicurati che non avesse nulla di rotto lo rialziamo; qualche ovvio dolore. Per fortuna il generoso paramotore e la voluminosa valigia laterale hanno formato una sorta di ponte che ha impedito alla moto di schiacciarlo.
In breve: ambulanza che lo porta al pronto soccorso, seguito in moto da Daniela. Vigili che arrivano e fanno foto, rilevamenti ecc. Meno male che l’automobilista si accolla subito la colpa, preoccupatissimo e molto onesto, che dovrebbe essere la normalità ma invece c’è da ringraziarlo per tale anomalo comportamento.
Nel frattempo Freeblue avvisa Pino, che essendo già al porto arriva in pochi minuti.
Facciamo il punto della situazione, ci organizziamo: lo stesso Pino e Freeblue portano Annina e Lucilla al porto, inutile farle restare in mezzo alla strada, meglio che si riposino e si riprendano sedute al bar. Pino e Freeblue torneranno poi entrambi in sella alla GS di Pino, dato che ci sarà da portare via la moto di MrSergio. Finalmente i vigili terminano di compilare i verbali e di prendere le dichiarazioni; non abbiamo tutti i documenti in quanto il Mister li aveva addosso quando è stato portato via dall’ambulanza. Vogliono sequestrare la moto ma facciamo opera di convincimento e Freeblue si accolla la funzione di “custode e responsabile”. Finalmente ce ne possiamo andare.
In tutto questo lasso di tempo eravamo in comunicazione con Daniela, che ci dava notizie rassicuranti dal pronto soccorso. Arriviamo al porto, la Capitaneria gentilmente ci consente di ricoverare la moto nel parcheggio riservato. Attendiamo notizie da Daniela, alla fine arriviamo in ospedale che sono quasi le quattro del pomeriggio, l’incidente è avvenuto prima delle tredici…
Rapido consulto su cosa fare, ma è ovvio che o si continua tutti insieme o tutti insieme si torna a casa, come è nostra sacrosanta abitudine. Il consulto vive momenti di tensione dato il nervosismo e l’apprensione di qualcuno, peraltro più che comprensibile data la situazione e le responsabilità prese. Poi viene la soluzione, logica, ideale: la ADV di MrSergio resterà al parcheggio della Capitaneria, lui proseguirà l’itinerario facendo da zavorrina a Pino 🙂
Il bagaglio del Mister, essenziale, lo assicuro sul portapacchi della mia moto, che faceva una inutile bella mostra di se stesso essendo scarico.
Ci mettiamo in marcia, la destinazione, da Venafro in poi, non consente itinerari alternativi; il percorso montano è tutta una curva per centoquaranta interminabili chilometri, che ci beviamo tutti di un fiato dopo aver fatto una sola sosta al distributore. Dovremmo arrivare comunque per le sette e trenta, margine ne abbiamo grazie a percorsi e percorrenze studiati nei minimi dettagli.
Si fa buio presto e pesto; queste strade sono sprovviste di illuminazione ma i potenti fari delle moto in fila indiana illuminano a giorno la strada. Si sale, svalichiamo a milleccinquecento metri, fa freddino. Mancano una manciata di chilometri all’arrivo, forse cinque o sei. Galleria, corta ed è una curva unica dall’entrata all’uscita.
Ma in uscita la strada è cosparsa di uno strato consistente di fango viscido che più non si può, probabilmente è venuto giù dalla montagna perchè è veramente tanto.
Appena messe le ruote fuori una poderosa sbandata dell’avantreno mi gira il manubrio sulla destra… ho perso l’anteriore. Tecnica e culo lavorano in perfetta sinergia; evito di toccare i freni, con una rapida botta di controsterzo e gas la moto derapa sulle due ruote, procedendo di lato.
Poi riprende grip e il peggio è passato. Il tutto ovviamente è accaduto in una frazione di secondo. Dietro di me esce Daniela, anche lei devota al fuoristrada, e riesce a cavarsela con una scodata gestita nel miglior modo possibile.
Dopo essermi allontanato dall’uscita del tunnel per evitare di creare ostacolo ai compagni, ho rallentato, sono quasi fermo perchè sono in ansia, vorrei vedere uscire tutti dritti dalla galleria ma il lampeggiare ed il clackson di Daniela non sono forieri di buone notizie.
Torniamo indietro: Freeblue, che oltre a trovarsi come noi nella melma si era anche trovato in una nuvola di terra e fango alzati dalle moto mia e di Daniela, è andato a terra. Cazzo e stracazzo!
Pino e Mr si sono salvati perchè, inteso il botto da dentro la galleria, sono riusciti a raddrizzare la moto e fermarsi in qualche modo.
E’ buio pesto, si scivola molto e quasi non riusciamo a rimettere in piedi la moto di Freeblue. Lui e Annina sono contusi, ma sembra che anche per loro non ci siano conseguenze gravi. Le nostre moto tutte con le quattro frecce accese fanno da scudo ed infatti un’auto che sopraggiungeva ha rallentato e si è fermata. Raccogliamo in fretta i cocci, con Annina che illumina faccio una rapida verifica: dischi e pinze freni ok, leve al manubrio (storto) ok; leva cambio e freno posteriore ok, le marce entrano… si può proseguire.
Presto, rapidi che siamo messi in un punto molto pericoloso… davanti a noi c’è un breve rettilineo ma l’uscita della galleria, come già detto, è in piena curva.
E’ anche difficile risalire in moto, si scivola parecchio, gli stivali sono pieni di fango.
Qualche chilometro e siamo a destinazione; quattro ore di fermo a Formia, due incidenti e comunque alle otto siamo alla nostra locanda. Roba da Babbaluci!
Prendiamo le stanze, il paese e la locanda sono veramente belli e caratteristici. Quando avevo prenotato mi ero informato con la signora: non ci sono ristoranti o pizzerie in paese; il più vicino è un ristorante che gestiscono loro, a circa due chilometri. Espressa la mia volontà di non prendere le moto per andare a cena, la signora mi aveva detto che poteva darci un furgoncino oppure ci potevano accompagnare loro e così è stato. Dopo una rapida ma confortevole doccia bollente, con due auto ci portano al ristorante.
Rustico, gradevole e nonostante la lentezza della cucina riusciamo a gustare un’ottima cena.
L’atmosfera, ora, è rilassata anche se pervasa da un leggero retrogusto amarognolo per quanto accaduto durante la giornata; ma si ride, si scherza come al solito; Annina è encomiabile ed invidiabile per lo spirito con cui sta affrontando la malasorte che l’ha sbattuta a terra ed il dolore al braccio.
Dopo aver pagato un misero conto ci riaccompagnano alla locanda e possiamo dire conclusa questa giornata che, nonostante tutto, mi viene difficile definire di merda, perché sono portato per carattere a cogliere sempre i lati positivi: nessuno si è fatto male seriamente, le moto sono in grado di viaggiare e tornare a casa sulle proprie rotelle, il gruppo che non si è disunito. Certo, dispiace vedere amici doloranti ed afflitti per i danni alle proprie moto, ma bisogna considerare anche che abbiamo sulle spalle anni di gite, viaggi e migliaia di chilometri percorsi insieme; è inevitabile che, pur avendo un basso coefficiente di rischio dato il nostro comportamento in strada, siamo comunque soggetti al calcolo percentuale che vuole che ogni tanto qualcosa capiti, anche se non siamo noi la causa diretta di tali avvenimenti; le colpe di quanto accaduto sono di un automobilista imprudente e distratto e di una specie di slavina di fango. C’è da dire in entrambi i casi non stavamo correndo, specie nel secondo nonostante il ritardo; il passo era buono, sostenuto, malgrado il buio e la strada non certo facile, ma nulla di esagerato e se così non fosse stato, nei due incidenti avremmo riportato danni molto più seri.
La domenica mattina, presto, ci ritroviamo in strada io e Freeblue; facciamo un check approfondito alla sua moto, puliamo più che altro dal fango accumulato, sistemiamo lo specchietto, una freccia… danni seri non ce ne sono. Poi ci riuniamo con gli altri per la colazione. Una colazione gradevole per il palato e per l’atmosfera.
Oggi non ci sarà storia che meriti di essere raccontata, un mero trasferimento verso casa. Con Pino ci salutiamo perché da subito prenderà una strada diretta per raggiungere la sua casa. Carico nuovamente il bagaglio di MrSergio sulla mia moto e stavolta anche quello di Daniela in quanto i due viaggeranno sulla di lei moto.
Si torna a Formia, Mister riprende la ADV e tutti insieme ci dirigiamo verso Gaeta e poi Sant’Agostino.
Qui, data l’ora, ci fermiamo per un pranzetto a base di tielle: con la scarola, con friarielli e salsiccia, con polpo; poi ancora olive, mozzarelle di bufala, pomodori, melanzane grigliate… di tutto un po’.
Si riparte, strada veloce; dopo Terracina prendiamo l’Appia e, giunti a Latina, ci immettiamo sulla Pontina. Un po’ di traffico ma scorrevole; in breve siamo alle porte di Roma ed ognuno prende il proprio ultimo miglio per raggiungere casa. Freeblue ha urgenza di portare Annina al pronto soccorso per il persistere del dolore al braccio: frattura del gomito, diagnosticheranno.
A lei tutto il nostro plauso e la nostra ammirazione per l’atteggiamento positivo.
Siamo orgogliosi di avere persone così nei Babbaluci.
Alla prossima, amici!
Anche questo mese siamo riusciti a concederci una due giorni in moto…
Mi sarebbe piaciuto, in occasione di due eventi concomitanti, il mio compleanno e la prima uscita con la mia nuova moto, che ci fosse stato qualche personaggio in più e soprattutto MrSergio che a tutti gli effetti è stato colui che ha valutato e contrattato l’acquisto della moto in mia vece, facendosi due viaggi alla Motorrad mentre io ero impegnato al lavoro. Grazie ancora!
Veniamo al dunque… In questa uscita abbiamo avuto il piacere della presenza di Jack che, rientrato da Londra, il venerdi sera si è fatto una trasferta in moto da Fabriano a casa mia e di Rob arrivando alle 22:30. Motociclista d’altri tempi, anche lui come la maggior parte dei Babbaluci.
Sistemata la moto di Jack nel box, che così ha avuto modo di fare amicizia con Karolina Silke la quale non conosceva nessuna delle moto babbaluche, saliamo in casa e ci lasciamo andare a racconti per colmare il lungo periodo di lontananza.
La mattina successiva, sabato, ci svegliamo presto ed in breve siamo pronti per uscire; al box il solito rituale della vestizione; finalmente i motori rombano e via, ci troviamo sull’Aurelia per raggiungere il luogo dell’incontro.
Arriviamo, come consuetudine, perfettamente in orario sulla mezz’oretta di anticipo e poco dopo arrivano anche Freeblue e Annina.
Possiamo fare colazione… Qualche cazzata, le moto sono già rifornite e si parte davvero, la gita è ufficialmente iniziata; il percorso disegnato da Freeblue ci fa uscire subito dal GRA, siamo sulla Trionfale.
La Cassia, in questo tratto SR2, ci conduce sulla Braccianese Claudia: Bracciano, ovviamente, poi il percorso ci porta a lambire le sponde del lago di Vico, passiamo San Martino al Cimino, Viterbo ed infine, con un percorso veramente da goduria in moto, arriviamo a Bolsena.
Magnamosela ‘na cosetta!
Sosta in piazza, la simpatica vigilessa ci consente un parcheggio comodo ma non regolare, anche se le moto non procurano affatto intralci; ci sediamo ai tavoli all’aperto e fra caffè, bibite e qualche trancio di pizza preso direttamente al forno siamo in grado di ripartire con uno stato d’animo e di panza predisposti al meglio.
San Lorenzo Nuovo, Acquapendente, Ponte a Rigo e qui, decisi, lasciamo la Cassia per raggiungere Piancastagnaio.
Bella sia per l’ambiente che per la guida la strada che, salendo, ci porta fino all’Amiata.
Il clima cambia, la temperatura si abbassa decisamente; gli ultimi chilometri sono in mezzo alle nuvole, ci fermiamo sul piazzale della seggiovia, parcheggiamo le moto ed entriamo nell’accogliente baita bar/albergo. L’ora c’è, la fame non manca mai e dunque in breve ci troviamo seduti al tavolo, le femminucce accanto alla stufa accesa…
Panini rustici, con pancetta et similia, biscotti offerti dal gestore; due chiacchiere in tutta rilassatezza ed arriva il momento di ripartire, sono da poco passate le due di dopopranzo…
Lasciamo l’Amiata e nel primo tratto, ancora nella fitta faggeta, abbiamo modo di vedere due leprotti belli in carne infrascarsi precipitosamente… epperò erano ancora crudi! Scendiamo, dunque, ma non verso la Cassia, bensì verso Montalcino, poi San Quirico d’Orcia e adesso sì, ci troviamo a percorrere un breve tratto della Cassia direzione Roma. Prima di arrivare a Bagno Vignoni, però, imbocchiamo la strada che sale per Radicofani, che lasciamo scorrere alla nostra destra proseguendo per Sarteano, meta della nostra gita.
Prima di arrivare in albergo riforniamo le moto e con grande piacere posso constatare i parchi consumi della mia moto.
Entriamo nel piazzale dell’albergo, pochi minuti per prendere possesso delle camere; dopo la sacrosanta doccia e indossati abiti civili, ci ritroviamo nel giardino dell’albergo. Portiamo le moto nel garage e poco dopo siamo intorno ad un tavolo, su comodi divani e poltrone sotto gli alberi, a gustarci prosecco -Jack no che essendo analcolico preferisce altro- parmigiano, noccioline e salatini.
Beh, questo l’ho interpretato come bagno alla mia nuova moto.
Mentre siamo in siffatte pratiche indaffarati non possiamo non notare i preparativi per il ricevimento di un matrimonio; qualcosa non ci quadra negli allestimenti e nelle mise dei primi arrivati… ci spiegano che è un matrimonio rumeno.
Molti accessori rossi sia per gli uomini che per le donne, sarà una loro usanza… parecchie donne sono vestite con abiti di un verde acceso, varie fogge ma stessa tonalità per tutte.
Auto anche nuove, in prevalenza Audi e BMW, ma “acchittate” in modo pacchiano, che forse forse riportano ai nostri anni settanta.
Sapremo poi dal personale dell’albergo che non c’è stata cena ma un ballo continuo fino alle tre e mezza di notte, ovviamente ed abbondantemente inframmezzato da pause sigarette e poppate ai biberon di whisky, vodka ed altro. La musica, di chiara derivazione arabo-turca, è stata una vera tortura! Performance live, tutti i pezzi erano caratterizzati dallo stesso ritmo binario, dalla stessa velocità e, se non bastasse, dalla stessa tonalità! Non esisteva melodia, al ritmo base si sovrapponevano assoli di tastiera, con un timbro che ricordava le vecchie pianole Bontempi, e sassofono; ma le scale -modo misolidio- erano sempre le stesse e con abbondanza di cromatismi, con il risultato di un continuo ronzio, una specie di moscone impazzito. Scale molto veloci, per carità, ed anche ben eseguite ma una bella pippa resta pur sempre una pippa…
Ci hanno deliziato con qualche brano cantato, scopiazzature di Cutugno e pezzi della vena neo-melodica partenopea. Un pianto, insomma.
Finalmente la cena, argomento che per fortuna ha avuto un degno sviluppo.
L’antipasto di crostini, sinceramente, mi aveva un pò preoccupato ed invece il menu riservava gradevolissime sorprese: pici, che personalmente mi sono fatto condire con il sugo dell’arrabbiata; gnocchi, ribollita; coscio di maiale -non quelle che ballavano- con funghi porcini, abbacchio e via dicendo. Il vino non ci ha esaltato ma non ci ha neanche deluso. Alla fine, con mia sorpresa, è magicamente apparso un Berlucchi con tanto di Profitterol al seguito. Una sola candelina, altrimenti le sessanta e dico SE SSA NTA candeline avrebbero appiccato il fuoco alle tende!
Molto carini i tovaglioli con una specie di limite di velocità a 60 all’ora.
Grazie, amici… mi sono commosso!
Arriviamo così al momento di andare a nanna; meno male che eravamo al terzo piano e fortunatamente c’era una bella e pesante porta taglia fuoco che una volta chiusa ha di molto attutito il maiala dance! Svegliatomi alle tre di notte sentivo ancora pompare il pippero!
La mattina seguente, domenica, ci vediamo alle otto e mezza per la colazione. In attesa delle signore provvediamo intanto a tirare fuori le moto da garage, caricare i bagagli e settare i navigatori sul percorso concordato: R2!
Durante la colazione ci raggiunge Walter, amico di Freeblue, partito la mattina presto da Ladispoli.
Si scalda con un cappuccino insieme a noi e poco dopo siamo in strada.
L’itinerario si snoda fra dolci colline, sinuosi saliscendi di puro divertimento. Chiusi, Città della Pieve che attraversiamo con me in coda al gruppetto, memore di tristi accadimenti 🙂 e poi per vie alternative arriviamo sotto Todi; naturalmente imbocchiamo decisi ed allegri la Millecurve verso Orvieto. Jack sfoga la sua crisi di astinenza aggredendo le curve da vero Teddy Boy, ma sempre in piena sicurezza. Baschi; qui ci fermiamo per un panino ma al bar hanno solo panini confezionati. Io, Freeblue e Jack ne avevamo già fatti mettere a scaldare uno ciascuno, pazienza! Paghiamo, usciamo e riprendiamo le moto; nel frattempo una processione fa il suo giro di boa proprio al bar e se ne ritorna da dove era venuta… che tristezza, già le processioni mi deprimono, vederne con così scarsa partecipazione, la banda asincrona ed i pochi vessilli alzati ne fanno una scena da film di Pasolini. Brrr…
Riprendiamo le moto, torniamo un pò indietro per salire ad Orvieto. Parcheggiamo nella piazza del Duomo, dopo un primo tentativo andato a vuoto troviamo al corso un posticino con tavoli all’aperto. Panini con salumi, porchetta e via dicendo. Ottimi, siamo stati fortunati, ma d’altronde chi gira lecca e chi sta fermo se secca!
Un buon caffè al bar e andiamo a riprendere le moto; tornando indietro incontro anche una persona alla quale avevo sistemato e modificato un paio di bassi elettrici… come è piccolo il mondo!
Saliti in sella ritorniamo anche noi da dove eravamo venuti, come la processione. Riprendiamo il percorso ed in breve, sempre seguendo strade molto guidate e belle, arriviamo a Orte paese. Qui ci salutiamo: Jack verso Fabriano, Freeblue e Annina vanno a prendere l’autostrada per Roma, io, Lucilla e Walter proseguiamo sulla Ortana verso Viterbo ma a metà strada deviamo per Soriano nel Cimino. Scendiamo al lago di Vico e ripercorriamo al contrario il tratto fatto all’andata, con la variante che arrivati a Manziana lasciamo la Braccianese Claudia e, passato Sasso, scendiamo sull’Aurelia.
Siamo arrivati! a casa ci scambiamo messaggi con gli altri, ognuno per confermare il proprio arrivo a casa.
Anche questa è andata; la moto ha avuto una degna inaugurazione ed io un festeggiamento del compleanno veramente commovente.
Durante il tragitto del ritorno, in tratti dove si guidava rilassati ed a velocità da passeggio, pensavo al nostro gruppo, a come si è modificato negli anni sia nelle modalità che negli stessi membri. Qualcuno se ne è andato strada facendo, molto pochi i rimpiazzi ma di qualità.
Forse abbiamo perso un pò il carattere Garibaldino di certe zingarate, la guida è sicuramente più tranquilla anche se non mancano momenti di in cui gli occhi diventano a fessura e le narici fumano… Ma ciò che è più evidente è la configurazione del gruppo. Oramai se arriviamo a 5 moto in una uscita è record; non che mi dispiaccia, registro solo il dato di fatto.
Coloro che sono rimasti hanno mantenuto integro lo spirito di gruppo, la filosofia motociclistica e di vita dei Babbaluci.
Gli altri, evidentemente, Babbaluci veri non lo sono mai stati e forse non è un caso che, in un modo o nell’altro abbiano abbandonato il gruppo. Una sorta di selezione se non naturale sicuramente inevitabile.
Riflessioni di un sessantenne nell’intimità del casco in una calda giornata autunnale… Wertmuller la intitolerebbe così.
Ah, nel corso del ristoro a Monte Amiata le menti bacate di Annina e Ulysse hanno partorito il “magnamosela ‘na cosetta tour”.
Siete avvisati!!!
Alla prossima, amici!</span></p>
Ci siamo regalati una uscita infrasettimanale…
Il sondaggio fra gli amici del gruppo aveva rilevato che, oltre me, l’unico ad avere disponibilità per questa uscita era MrSergio.
In settimana avevamo ipotizzato un paio di mete ed alla fine si era deciso per la Majella -che non è una imprecazione- dedicandoci poi agli itinerari ed alla ricerca del posticino per passare la notte. Tutto pronto, non ci resta che andare… il lunedì viene giù acqua che sembra il diluvio universale; per martedi le previsioni meteo dicono che ci sarà ancora pioggia, ma per noi è un dato puramente statistico, siamo noi che decidiamo quando andare e non ci lasciamo condizionare dalle stagioni, dai capricci del meteo, dagli orari o altre simili sciocchezze. Se si deve andare in moto si va, punto. E basta, aggiungo.
Ci vediamo dunque alle sette di martedi mattina presso un’area di servizio sul Gra; sono in ritardo di mezz’ora, nel senso che arrivando quasi sempre mezz’ora in anticipo, questa volta presentandomi alle sette in punto mi trovo in ritardo sull’anticipo. S’è capito?
MrSergio è infatti già lì, in ansia, e sento squillare il telefono mentre entro nel piazzale: è lui!
Facciamo colazione ed una volta fuori restiamo a parlare quasi un’ora. Di cosa? mmmmh, al momento è ancora top secret!
Si parte, sono le otto; piccola tiratina sul raccordo ed usciamo sulla Anagnina.
Trotterelliamo allegri fino ad arrivare ad Artena, sempre splendido il colpo d’occhio sul paese arroccato là in alto.
Arrivare a Colleferro e ritrovarci sulla Carpinetana è un attimo; Montelanico, Carpineto Romano, passiamo sotto Maenza e poi serpeggiamo fra Pisterzo, Amaseno, Arce, Fontana Liri ed infine ci fermiamo a Isola del Liri.
Parcheggiamo le moto, bar per un rinfresco e poi a piedi andiamo a fotografare la cascata. Una mezz’ora di sosta, tempo ne abbiamo.
Ci rimettiamo in marcia, Sora e poi veloci verso Forca d’Acero. Il tempo fino ad ora ha retto, ma là in alto i monti sono avvolti da un hijab più o meno integrale; gocce d’acqua si materializzano sul cupolino e sulla visiera. Come era facile immaginare, qualche tornante prima del valico la pioggia si fa più consistente ed arrivati ai chioschi sul passo ci fermiamo per indossare gli antipioggia. Ma non restiamo li a perdere tempo aspettando che spiova, non è cosa.
Scendiamo dal passo, la centralina che abbiamo nella scatola cranica si è già auto settata su modalità RAIN, adottando l’adeguata mappatura.
Il passo non è lento, ma cambia il modo di frenare, di entrare ed uscire dalle curve, di piegare la moto.
L’esperienza rende automatici questi adattamenti, ed è quello che ci ha sempre consentito di uscire con qualunque tempo, su qualunque terreno.
Arriviamo ad Opi o, meglio, sotto Opi poi, in rapida successione, passiamo Villetta Barrea, il lago, Barrea, Alfedena e ci ritroviamo sulla SS17, (s)conosciuta anche come Appulo-Sannitica.
Distributore, abbevero la moto mentre una signo…ra? ina? alquanto rustica e rotondetta fa le fusa a MrSergio (<em>nzò capace, che m’aiutiii?</em>), che infatti la aiuta a fare rifornimento dal self service; self si fa per dire, era un Se..rgio Service. La pallocca, felice e rifornita, ringrazia e se ne va. Ce ne andiamo anche noi, nel frattempo la pioggia è diminuita, è diventata fine e quasi non la si percepisce. Roccaraso, Rivisondoli e siamo sulla mitica SS84. Scorre rapida la strada sotto le ruote, scorrono paesi dai nomi noti, che infilziamo ad andatura Garibaldina ma controllata ed infine arriviamo a Fara San Martino, in perfetto orario per lo spuntino.
E’ cosa ovvia e buona fermarci alla nostra stazione di posta; ci liberiamo degli ingombranti ed umidicci capi tecnici, in pochi minuti ci viene preparato un tavolo; nell’attesa ci gustiamo l’impresa di un giovane e molto furbo cagnetto che si sbafa quasi un pranzo intero lasciato su un tavolo all’aperto dai commensali che hanno abbandonato la postazione alle prime gocce d’acqua. Si, perchè nel frattempo l’acqua scende a scroscio, più forte che pria.
Prendiamo possesso del tavolo, mangiamo: un piccolo tagliere di salumi ed affettati locali, una carbonara, un gelatino. Naturalmente acqua minerale.
Ci attardiamo un pò, nessuno ci corre dietro e mancano solo una cinquantina di chilometri a destinazione. Telefono al tizio della locanda e per poco non mi sfonda un timpano! Urla e neanche ti sta a sentire: snocciola rapido il suo discorso smozzicando le parole, non si capisce un’acca!
Va bene, comunque sa che siamo sulla strada e che presto arriveremo. Ripartiamo, ora non piove tanto ma appena le ruote iniziano a girare, ariecco l’acqua!
Il temporale è intenso ma per fortuna dura poco. Ci arrampichiamo su per la Majella: Palombaro, Pennapiedimonte, Bocca di Valle e l’ultimo strappo a Pretoro. Pochi tornanti prima di Passo Lanciano c’è la nostra locanda.
Parcheggiamo, una volta spente le moto regna il silenzio assoluto… ci viene da parlare sottovoce! Prendiamo le borse ed entriamo: una cattedrale deserta! Non un rumore, nessuna anima viva e neanche morta!
Ci sediamo, nella paziente attesa che qualcuno, uomo o animale, si materializzi nella navata…
Ma!? Da dietro una colonna spuntano un mezzo divano ed un mezzo uomo, non nel senso che è corto ma nel senso che gli si vedono solo i piedi e poca gamba… Ora il silenzio è rotto da un russare sordo e profondo, una specie di tromba tibetana con la sordina.
Facciamo piccoli rumori ed l’uomo si sveglia, palesandosi nella sua interezza… beh, in effetti non è che ciò che si celava dietro la colonna fosse molto, un mezzo uomo ma si rivela subito molto simpatico e gentile. E’ lui, l’urlatore telefonico!
Un gaffè, lo volete un gaffè? E senza attendere risposta va dietro al bancone del bar e comincia ad armeggiare…
Va bene. Ci lascia li e sale a verificare la camera, scende, prende i documenti e ci da la chiave. Ma è inutile tentare di instaurare un discorso, parte per la tangente e sciorina rapidamente le cose che ci deve dire.
Ci sistemiamo in camera, doccia e poi scendiamo; questo è il momento del relax, che sempre affrontiamo come un sacro rituale: pochi o tanti che siamo, ci ritroviamo attorno ad un tavolo per un aperitivo, generalmente birra e patatine, e per quattro chiacchiere. Un simpatico cagnone ci porta un bastone ed inizia il gioco del lancio e riporto; conosciamo anche il cameriere tuttofare che ci porta la birra, simpatico e gentile anche lui come la stragrande maggioranza degli Abruzzesi. Poi arriva il gestore, con notes e penna, che ci voglia intervistare? Invece ci raccomanda che si cena alle otto e prende già l’ordinazione, elencandoci prima le proposte della cucina. Decidiamo rapidamente, ma ci blocchiamo sui contorni; diceeee: “<em>c’è l’inzalata, il pomodoro, le verdure, forse c’è anghe altro ma non zono sicuro… vabbè, il condorno lo vediamo dopo, si cena alle otto.</em>” E se ne va, ma in quei pochi passi che deve fare per raggiungere la porta d’ingresso riesce a girarsi tre volte per dirci che si cena alle otto, c’è il pomodoro mavabbè il contorno lo vediamo dopo, si cena alle otto.
Finiamo la birra fra discorsi seri ed ameni, ovvie cazzate; MrSergio sale in camera a prendere una maglia più pesante, io lo aspetto appostandomi vicino alle moto.
I due comici arrivano ora in coppia, l’urlatore esordisce: “belle moto, e quanto sò? quanto sò?” ovviamente si riferisce alla cilindrata.
Rispondo: “questa è milledduecento” e l’altro prontamente esprime il suo candido e sincero commento, palesando meraviglia: “freeeeeeegnaa!“.
Proseguo: “quest’altra invece è novecento” e di rimando l’urlatore riconosce la mia saggezza e parsimonia “grande, anche questa, ma ti sei condenuto, ti sei condenuto“.
Arriva MrSergio, ci muoviamo per fare due passi e i due fanno per rientrare, ma immancabilmente… “si cena alle otto, alle otto, c’è il pomodoro ma vabbè il condorno lo vediamo dopo, si cena alle otto“.
Si fanno le otto e, per carità!, ci avviamo al tavolo.
Non c’è molta gente, atmosfera rilassata, sottofondo musicale tematico: liscio! Ma mica siamo in Romagna… C’è qualche variazione, canzoni di sentimento ed alle prime note il cameriere alza il volume a palla… evidentemente questa canzone gli risveglia vecchi amori o cose simili, perchè non capisce più niente e comincia a sbagliare le portate: a noi ci viene intavolato il secondo prima del primo, ad un altro tavolo porta non so cosa al posto di non so cos’altro… Si ride, lui gira per la sala ripetendo “errore mio, errore mio“.
Ancora una volta ci troviamo fuori dal tempo, fuori dai canoni classici, gente particolare, simpatica, gentile come solo in certi posti si può trovare.
Lui, il cameriere, è un giramondo: è da poco rientrato dall’Australia e fra poco ci tornerà. L’altro anche, ha lavorato in diversi Paesi. Gente che non si è lasciata cambiare da altre culture, altre modalità di vita ed è rimasta semplice, genuina.
Con il primo arriva il gestore, ora in versione direttore di sala: “c’è il pomodoro, l’inzalata oppure la parmiggiana di zucchine…” e che ce la lasciamo scappare?!?
Dopo la pasta “chitarrina” con ragù arriva un piatto con agnello, salsiccia, mozzarella grigliata, a parte le zucchine alla parmigiana.
Tutto ottimo, oltre le aspettative. Il vinello bianco non è un gran che ma un mezzo litro in due va giù con piacere.
Dolcetto, gentilmente rifiutiamo amari ed alcolici vari ed usciamo di nuovo. Bella serata, oramai non piove da un bel pò, l’aria è frizzantina e si sta proprio bene.
Ci addentriamo nel boschetto, ci infanghiamo per bene le nostre belle scarpe da relax, siamo costretti a pulirle con erba e spigolo di muretti…
Fine dei giochi, rientriamo in camera e ci prepariamo per la notte. Chiacchiere, sempre più o meno serie, ma per lo più si ruota sempre al solito argomento per il momento ancora secretato.
Ci si ritrova all’alba, dopo varie interruzioni notturne dei rispettivi sonni… Ma la nottata è stata comunque fresca e tranquilla.
Prepariamo il poco bagaglio e scendiamo per la colazione.
Nel frattempo è arrivata una ambulanza, una vecchietta si è sentita male, problemi di pressione… Ci ritroviamo al banco per il conto, 30 la camera 24 tutto il resto, cena birre acque ecc.
Di nuovo le chiappe sulla sella, cominciavo a sentire la mancanza di questo intimo contatto. Saliamo a Passo Lanciano, ci regaliamo un caffè ed una oransoda prima di salire al Blockhaus.
Si sale, strada immersa nel fitto bosco; tornanti, pratoni di montagna, ecco il rifugio Pomilio, si parcheggiano le moto. Panorama stupendo, montagne austere come tutte quelle dell’Abruzzo.
Ma una marea di antenne e ripetitori di tutti i tipi fanno stupro di questo magnifico paesaggio. E’ il prezzo del progresso e c’è sempre da domandarsi se non sia troppo caro, troppo.
Ma anche gli abitanti di queste regioni hanno il diritto di usare il cellulare, di vedere la tv che spesso è l’unica fonte di svago in paesi che non hanno neanche un cinema o un teatrino, in case che non hanno neanche un paese… Gironzoliamo un pò, poi prendiamo la strada del ritorno, tracciata dalla oramai esperta mano di MrSergio.
Ci addentriamo in un territorio selvaggio, per certi tratti aspro, duro come è dura la vita da queste parti: si vedono casolari di pietra, ricoveri per gli animali, per lo più greggi.
Qui l’allevamento e l’agricoltura sono ancora importanti e spesso le uniche attività possibili.
Scendendo attraversiamo paesini graziosi, abbiamo importanti montagne intorno, strade non sempre ben asfaltate ma che si intonano perfettamente con l’ambiente circostante.
Il Passo Leonardo, un paio di foto e si riprende il cammino. Arriviamo a Pacentro dall’alto; strada chiusa in due punti ma sappiamo che con le dovute accortezze si può passare, non sempre ma spesso, questa volta è una delle tante in cui riusciamo nell’intento. Arrivando a Pacentro da questa direzione non si può non fermarsi a fotografare ed ammirare il paese disteso sul monte e fra il verde, con Sulmona e la Conca Peligna a fare da sfondo. La Conca Peligna… a me evoca immagini erotiche!
Fotografiamo, entriamo in paese e dopo un paio di giri ci fermiamo presso un distributore-bar-alimentari-parco giochi.
Il ragazzo che gestisce l’attività ci fornisce un tavolo all’ombra, panini con hamburger, altri due con salame e formaggio, due cocacole ghiacciate e una simpatica conversazione, raccontando delle sue disavventure motociclistiche. Anche qui ci attardiamo, il posto è incantevole, all’ombra si sta benissimo, le chiacchiere sono piacevoli, ma poi giunge il momento di partire.
Usciamo dal paese, altra strada chiusa (ci dicono che ad aprile ha fatto un metro e venti di neve) ma questa volta siamo costretti a deviare. Attraversiamo il centro di Sulmona e dopo un paio di giri da minuetto siamo sulla statale. Poi un tratto veloce di autostrada, per passare Avezzano; di nuovo la Tiburtina, che percorriamo spediti fino a Vicovaro.
Negli interfoni. durante il tragitto, abbiamo parlato di noi, di progetti, dei Babbaluci e dell’attuale situazione degli stessi… forse l’intimità del casco favorisce l’insorgere di certe tematiche anche loro intime, delicate.
Arriviamo alla stazione di Mandela, sappiamo che da qui alla fine non ci sarà storia: caldo afoso, insopportabile, auto, caos al casello, delirio sul raccordo.
Rapido saluto in corsa, un’occhiata, ci stringiamo la mano mentre le moto corrono e ci facciamo il segno del telefono.
Certo, ci sentiremo, e vedrai che salterà fuori qualche altro bel progetto…
Alla prossima, amici!